Archive for giugno 2021

Il silenzio degli innocenti

Oltre 750 tombe anonime sono venute alla luce nell’ex collegio cattolico di Marieval, nella provincia di Saskatchewan (Canada).

Corpi di bambine e bambini, alcuni di tre anni di età, sottratti alle famiglie d’origine dalle forze di occupazione europee, e rinchiusi in centri creati appositamente per “ricondurre i selvaggi alla civiltà”.

Queste “Ecoles pour Indiens” vengono create nel 1892, e messe nelle mani della chiesa cattolica, che si assumeva il compito di rieducare i più piccoli nelle regole della sana e civile convivenza cristiana e europea. Allontanati dalle loro famiglie, rinchiusi in celle di isolamento al minimo sussulto, questi bambini venivano sottoposti a qualsiasi tipo di violenza fisica e sessuale da parte dei preti, vittime designate di uno dei più atroci olocausti della storia.

Era vietato loro di esprimersi nella lingua imparata dai genitori, qualsiasi cenno di una qualche vestigia di identità culturale primigenia veniva punita col sangue.

Dal XIX secolo fino agli anni ’70, più di 150mila bambini dei “popoli originari” furono internati a forza – tenuti segregati, senza nessuna possibilità di rivedere la propria famiglia – nelle scuole cristiane finanziate dallo Stato come parte di un programma per assimilarli nella società canadese.

“Convertiti” con la forza al cristianesimo, vittime di violenze di ogni genere, molti di loro assassinati e sotterrati alla buona nei terreni dell’istituto… ecco la storia che bussa con forza a una porta, la nostra, che abbiamo deciso di chiudere a doppia mandata diverse generazioni fa.

E’ successo l’altro giorno, anche se in pochi ne danno notizia.

28 maggio, dell’anno in corso.

Rosanne Casimir, capo dei tk’emlúps te secwépemc, un gruppo indigena della provincia della Columbia Britannica, nell’ovest del Canada, annunciò la scoperta di 215 tombe non segnalate, nei terreni dell’istituto scolastico di Kamloops. 215 corpi di bambini, ai quali si unirono, nei giorni seguenti, altri 535.

“La triste scoperta” – ha affermato Papa Francesco durante l’Angelus, due settimane fa – “accresce ulteriormente la consapevolezza dei dolori e delle sofferenze del passato”.

Già.

Nessuno pagherà per questi crimini. Nessuno osserverà un minuto di silenzio. Non ci sarà nemmeno quest’anno una Giornata della Memoria per le vittime del più grande genocidio della storia: Il massacro dei popoli originari americani.

190 milioni di individui, i cui corpi continuano a emergere da una memoria cancellata a colpi di croce, silenzi e spada.

“Che dirà il santo padre…”, cantava Violeta Parra.

Chissà.

Le biciclette di Rosario

Un giorno, negli anni ’70, Fernando camminava distratto nel suo quartiere di Rosario, in Argentina. Improvvisamente, un amico in bicicletta gli tagliò la strada. Passò davanti a lui, senza nemmeno salutarlo. Come se fosse uno sconosciuto. Fernando ci restò male.

Dopo qualche isolato, trovò quella bicicletta legata a un albero. La bicicletta, da sola. Il suo amico non c’era.

Ci tornò il giorno dopo, Fernando. La bicicletta era sempre lì. Intorno a lei non c’era nessuno.

Capì che il suo amico, in quel momento, veniva inseguito dalla polizia argentina, che era stato portato in qualche carcere segreto, dal quale non avrebbe mai più fatto ritorno.

Capì anche, Fernando, che quel ragazzo gli aveva salvato la vita, evitando di salutarlo. Lo avesse fatto, sarebbe finito anche lui negli antri dell’orrore.

“Avevi la morte addosso e hai avuto cura di me”.

Intorno all’anno 2000, le biciclette disegnate sui muri cominciarono a invadere le strade di Rosario. Dove vengono cancellate, il giorno dopo compare una scritta: “Per caso qualcuno ha visto una bicicletta che avevo lasciato qui?”

“Las bicicletas vacias” riflettono, ciascuna di loro, un corpo, uno sguardo, un’assenza; un amico, che non tornerà.

Compongono, tutte insieme, un’opera d’arte urbana e popolare, creata dall’artista Fernando Traverso.

350 disegni. 350 biciclette dipinte a misura reale. Sotto il disegno, in ciascuna di loro si trova un numero seguito da un trattino. E quella cifra: 350.

Il numero dei Desaparecidos nella sola città di Rosario, al tempi di una follia chiamata terrorismo di stato. La memoria dei popoli continua a macinare strade.