Lo Schindler italiano nell’Argentina dei generali
Aveva 25 anni Enrico Calamai, nel 1972. Nato a Genova, da poco si trovava a Buenos Aires, alle dipendenze del Consolato Italiano. Era un lavoro di basso profilo, il suo. Si occupava di pensioni, passaporti, tramiti burocratici. “Uno tra i tanti”, a dir suo, “tantissimi giovani ai gradini più bassi del funzionariato italiano”.
Nel ’73 arriva la dittatura in Cile. Una delle più sanguinarie mai esistite. L’Italia non riconosce il governo di Pinochet, appena instauratosi. Ritira l’ambasciatore, lasciando soltanto un addetto commerciale, al suo posto. L’ambasciata però comincia da subito a riempirsi di ricercati che cercano di scappare al massacro. I militari non possono entrare ma cingono d’assedio l’edificio.
Una notte, il corpo di una donna, Lumi Videla, violentata e torturata fino alla morte, viene scaraventato in cortile, dopo un volo sopra i muri di cinta. L’addetto commerciale italiano sporge denuncia alle autorità cilene, ed è immediatamente dichiarato “persona non grata”.
Viene inviato sul posto Enrico Calamai, col compito di garantire il “funzionamento interno della sede diplomatica”. I rifugiati gli trovano una stanza e lui comincia a convivere con loro. Dopo mesi d’assedio, e di trattative, Pinochet autorizza la loro partenza verso l’Italia. Enrico Calamai li accompagnerà in aeroporto, garantendo per la loro incolumità. Prima di tornare in Argentina, con l’ambasciata ormai vuota, gli tocca assistere alla scena di un ragazzo che, dalla strada, cercava disperatamente di arrampicarsi sul filo spinato, ma veniva strappato a forza dai militari. Di lui non si saprà più nulla.
Quell’immagine non lo avrebbe più abbandonato.
Già a Buenos Aires, quando i ricercati si presentavano nel suo ufficio, all’Ambasciata, chiedendo di essere protetti, o quando erano i genitori a presentarsi, disperati perché i loro figli erano stati inghiottiti dal nulla e nessuno sembrava disposto a dare loro una risposta, a lui tornava in mente quella scena, i carabineros che si portavano via quel ragazzo, in Cile, verso la tortura, le sevizie e una morte sicura.
Cominciò a stendere una rete, all’insaputa del Console generale, suo superiore, che non sembrava disposto a interferire con le decisioni dei militari.
Falsificò documenti, convinse dirigenti di compagnie aeree a far partire dei dissidenti verso l’Europa con false carte d’identità con le quali avrebbero potuto, a malapena, spostarsi verso le capitali vicine, Montevideo o Rio de Janeiro.
Tra i tanti, arrivarono una sera all’ambasciata un padre con i suoi due figli. Erano ricercati. Condannati a morte. Non avevano con sé né soldi né documenti.
L’ambasciatore li ricevette e dopo averli ascoltati chiese loro di lasciare immediatamente l’edificio. Calamai si offrì di accompagnarli fino all’uscita ma quel che fece fu nasconderli in una saletta appartata del palazzo. Più tardi li portò a dormire a casa sua. E finalmente in un convento, nei pressi del porto di Buenos Aires. “I preti li accolsero ma il padre superiore non ne voleva sapere, aveva paura. Fu una situazione angosciante, ci sentivamo addosso una pressione tremenda, il rischio era imminente.” Alla fine riuscì a procurargli dei documenti e a farli partire verso l’Italia.
Almeno 300 persone sono state strappate a una morte sicura, senza distinzioni tra connazionali e latinoamericani, da quello che viene, da molti, definito come lo “Schindler italiano a Buenos Aires”. Un eroe scomodo per il governo italiano, che lo rimandò in patria appena possibile, togliendosi un sassolino dalle scarpe che rischiava di mettere a repentaglio accordi di sicura rendita per l’uno e l’altro paese.
Nel 2004 Enrico Calamai fu insignito, nell’Ambasciata della Repubblica Argentina a Roma, della Cruz de la Orden del Libertador San Martin, per essersi battuto in difesa dei diritti umani durante gli anni della dittatura.
Ha contribuito, inoltre, a fondare il “Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani” ed è autore del libro: Niente asilo politico. Diario di un console italiano nell’Argentina dei desaparecidos.
Dal 12 aprile 2010 a Enrico Calamai sono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.
Enrico Calamai sarà nostro ospite, il 14 maggio 2023, nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia di Milano.